Il Ghetto degli Ebrei è situato di rimpetto
alla Chiesa Matrice o Collegiata. È a pianta rettangolare,
chiuso da tre archi in tufi. Su uno di essi si vede incisa sulla trave
la data del 1602. Il quartiere è un intrigo di viuzze su cui
si affacciano balconcini ricamati in tenero calcare. Fu attivo dal
XII al XVII secolo d. C. e dopo questo periodo diventò parte
della città.
In Puglia
gli ebrei si diffusero durante il periodo normanno – svevo.
Ricche comunità erano presenti a Lecce, come anche a Brindisi
e Oria.
Prospera era anche quella di Taranto, dove nel 1165 si contavano circa
trecento individui. Presenze ebraiche, inoltre, non mancarono, quando
ancora regnavano gli Svevi, in centri come Trani, Barletta, Andria,
Corato, Alberobello, Nardò e Manduria. In quest’ultima
città, come riferisce il sacerdote e storico locale Leonardo
Tarentini, il quartiere ebraico “ebbe qui esistenza dal XIII
fino al XVII secolo”. Non è da credere, come riferisce
in seguito lo studioso, che quest’area del centro storico fosse
isolata dal resto dell’abitato manduriano. Infatti gli ebrei,
pur costituendo comunità a parte, abitavano in una zona vicinissima
alla chiesa Matrice, in seguito individuata col termine Giudecca.
Quale insieme di abitazioni, la Giudecca non deve confondersi col
ghetto.
Questo, infatti, fu istituito e diffuso nella cristianità con
la bolla di Paolo IV Cum nimis absurdum del 1555, quando gran parte
degli ebrei erano già stati espulsi dal Regno di Napoli, e
consisteva in un quartiere circondato da mura e comunicante con il
resto della città per mezzo di qualche porta chiusa di notte
e custodita da guardie per impedire ai cristiani di entrarvi. La Giudecca,
invece, restò sempre caratterizzata dallo spontaneo aggregarsi
di case ebraiche intorno alla sinagoga, cuore pulsante della comunità.
Anche Manduria
aveva una sinagoga, trasformata nel XVII secolo in casa padronale
con un elegante portale, ora murato, ma che presenta quattordici elementi
decorativi floreali, sette da una parte e sette dall’altra,
divisi al centro da una maschera con probabile valenza apotropaica.
Evidente il richiamo alla simbologia ebraica attraverso il numero
7, ripetuto due volte nelle formelle lapidee, e che ritroviamo, ad
esempio, nella menorah, tipico candelabro a sette braccia.
Gli ebrei di Manduria, che all’epoca era conosciuta col toponimo
di Casalnuovo, conobbero un primo forte scossone sul finire del XIII
secolo quando Carlo II d’Angiò, con abili strategie politico
– economiche, fece in modo di isolare sempre più le comunità
giudaiche del Regno, consentendo ai neofiti cristiani significative
esenzioni fiscali. Per questo ben 34 membri della comunità
ebraica passarono, nel 1294, alla religione cattolica.
Ma fu con le prammatiche di espulsione del novembre 1510 che le comunità
ebraiche del Sud Italia ricevettero un duro colpo. Successivamente
i quartieri ebraici furono isolati rispetto al resto della città.
Anche a Manduria, come riferisce il Tarentini, furono edificate porte
che chiudevano il quartiere isolandolo rispetto al resto dell’abitato:
“Esistono ancora tre grandi archi in tufi che serravano il Ghetto
– scrive il Tarentini – Il primo è posto a Sud
e vedesi ancora inciso sulla trave posta nella sommità degli
stipiti: 1602.
Il secondo ad Est ed il terzo ad Ovest che comunica con l’antica
via delle Carceri vecchie.
Questi archi erano provveduti di relative porte ed un’antica
tradizione ci fa sapere che le autorità locali della città
alle ore 24 di ogni sera serravano a chiave quelle porte, riaprendole
allo spuntar del sole del mattino seguente.
Era questo un provvedimento
necessario per impedire agli ebrei la propaganda notturna della propria
religione”.